Parte 2 - I miti sul bullismo: sfatiamoli!
- Francesca Piana
- 11 nov 2020
- Tempo di lettura: 3 min
Aggiornamento: 17 nov 2020
Le difficoltà legate alla comprensione del fenomeno nella sua globalità riguardano sia i più giovani sia gli adulti, che hanno il compito di vegliare su di loro. Talvolta, se non sovente, gli episodi vengono minimizzati, fraintesi e giustificati a causa della poca chiarezza del termine e della diffusione di credenze o facili luoghi comuni che serpeggiano nell’opinione popolare.
«C’era un prepotente nella classe di Peter; si chiamava Barry Tamerlane. Non aveva l’aria da prepotente. Non era di quelli sempre tutti sporchi; non aveva una faccia brutta, e neppure lo sguardo da far paura o le croste sopra le dita, e non girava armato. Non era poi tanto grosso. Ma nemmeno di quei tipi piccoli, ossuti e nervosi […] era bello morbido e tondo, pur senza essere grasso; portava gli occhiali e, sulla sua faccia soffice e rosa luccicava l’argento dell’apparecchio dei denti. Spesso metteva su un’aria triste e innocente che a certi grandi piaceva e che gli tornava comoda quando doveva togliersi dai guai»
McEwan, I. (1994) L'inventore di sogni. Einaudi Ragazzi, Torino.

1. Una prima convinzione molto diffusa e dai risvolti potenzialmente pericolosi è quella di chi sostiene che anche i più deboli debbano “imparare a difendersi da soli”. Supportare questa convinzione espone al rischio di considerare atti di prevaricazione come tappa quasi obbligatoria del percorso di acquisizione di un carattere forte, ambito in una società occidentale come la nostra dove la competitività ha assunto nel tempo sempre più desiderabilità. Tuttavia è una convinzione che porta a far ricadere la colpa sulla vittima, sminuendola ulteriormente, e non su chi la perseguita.
2. Un secondo atteggiamento imprudente è quello di minimizzare il fenomeno riducendolo a una semplice monelleria, a una sciocchezza. La differenza tra una ragazzata e una complessa dinamica di bullismo è limpida e netta e si basa principalmente sulla situazione di assoluto equilibrio tra i soggetti coinvolti nel primo caso mentre il secondo poggia proprio sulla disparità di forza e di potere. Ignorando le reali e intricate dimensioni del problema non si fa altro che alimentarlo e, ancor peggio, legittimarlo.
3. Un ulteriore mito che sposta l’attribuzione di colpa alla vittima, è ritenerla responsabile di aver posto in essere condotte talmente irritanti da legittimare le prepotenze. Traduzione di questa credenza è il classico “se l’è cercata”. Attribuzione caratteristica nei confronti del profilo della “vittima provocatrice” che verrà analizzata nel post successivo dedicato all’approfondimento dei diversi profili coinvolti nelle dinamiche del fenomeno. Questa considerazione è pericolosa anche perché prende di mira individui con problemi di attenzione e iperattività che, a causa di tale disturbo, fanno molta fatica a controllare il proprio atteggiamento e ad attenersi alle regole di convivenza civile: non rispettano il loro turno di parola, toccano le cose degli altri, interrompono i giochi, ecc. È comprensibile che siffatti atteggiamenti infastidiscano i compagni, tuttavia questo non è un buon motivo per giustificare o legittimare gesti di prevaricazione.
4. Un altro luogo comune riguarda lo stereotipo del bullo, visto nell’immaginario collettivo come un soggetto fisicamente forte e proveniente da famiglie disagiate. Questo non è sempre vero, molte volte i bulli provengono da famiglie “bene” e spesso non hanno neanche bisogno di ricorrere alla forza fisica per sopraffare gli altri in quanto possiedono abilità verbali e relazionali particolarmente sviluppate che, se utilizzate per scopi offensivi, sono in grado di causare ugualmente grave disagio. Essi possono, in alternativa, delegare altre persone (gregari) nell’esecuzione delle condotte vessatorie.
5. L’ultima posizione che analizzerò, le cui basi si fondano sulla precedente, è quella di coloro che ritengono che il bullismo possa svilupparsi solo in contesti estremamente degradati ed emarginati (“In questa scuola non c’è il bullismo”). Il fenomeno, al contrario di quanto generalmente si pensi, può trovare terreno fertile in tutti gli ambienti frequentati dai giovani, indipendentemente dalle condizioni socio-culturali dei quartieri nei quali la scuola è inserita. Proprio quest’ultima osservazione deve spingere tutte le scuole, anche quelle che si ritengono estranee al problema, ad attivare dei percorsi formativi finalizzati alla conoscenza del fenomeno e rivolti sia al personale scolastico e agli studenti sia ai genitori.

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